ROMA - I buoni da una parte, i cattivi dallaltra, come si faceva una volta sulla lavagna di scuola. Su una colonna il sorgo da fibra e il sorgo zuccherino, le colture che possono essere trasformate in energia dando davvero una mano allambiente, perché al contrario di altre crescono in ambienti molto aridi e generano prodotti non utilizzabili dalla catena alimentare; sullaltra colonna la colza, le barbabietole e il girasole, che per crescere hanno bisogno di una quantità di acqua, concimi ed energia tali da rendere il gioco molto più costoso della candela. In mezzo, con risultati variabili ma il rischio di entrare in conflitto con la produzione di cibo, i cereali come il grano, lorzo e il mais.
Sul banco degli imputati. A realizzare la classifica è uno studio dellUniversità di Bologna ancora inedito che verrà presentato al Congresso della Società Europea di Agronomia in programma a settembre. La ricerca arriva in un momento quanto mai opportuno, con la corsa ai biocarburanti decisa dallunione Europea e dallamministrazione Bush sotto processo con laccusa di essere responsabile della fiammata nei prezzi dei generi alimentari.
La Piattaforma biofuels. A coordinare lo studio è stato il professor Gianpietro Venturi, docente di Agronomia generale e colture presso lateneo bolognese Alma Mater e presidente della Piattaforma italiana per i biocarburanti, una struttura creata su indicazione dellUe per organizzare le sinergie tra tutti i protagonisti della filiera: agricoltori, mondo scientifico, industria e istituzioni.
Gli orientamenti europei. "A leggere le cifre senza pregiudizi - spiega il professor Venturi - penso si possa affermare con serenità che la spinta per la diffusione di bioetanolo e biodiesel sono un fattore molto marginale nel recente boom dei prezzi alimentari. I motivi della fiammata sono altri, i maggiori consumi di Cina e India e una sequenza di fattori climatici negativi. Ciò non toglie che il pericolo di azzerare i vantaggi ambientali dei biocarburanti puntando su colture sbagliate esiste. Ne è consapevole la stessa unione Europea, alla quale consegneremo le nostre conclusioni. Bruxelles sta discutendo infatti di fissare al 50% la quantità di anidride carbonica non immessa nellatmosfera come soglia minima di emissioni risparmiate per dichiarare un biocarburante sostenibile. Allo stesso modo sta pensando di stabilire che il 50% del biocarburante utilizzato in Europa (lambizione della direttiva è arrivare al 10% dei consumi entro il 2020) debba essere di seconda generazione".
Obiettivo seconda generazione. Per "seconda generazione" si intende prevalentemente lestrazione di bioetanolo dalla cellulosa degli scarti boschivi e di piante "povere", un procedimento ancora in via di perfezionamento, ma sul quale vengono riposte grandi aspettative. In Germania recentemente è stato aperto uno dei primissimi impianti di questo genere al mondo. Anzi, in un certo senso potrebbe essere definito persino di terza generazione, visto che nello stabilimento inaugurato dalla cancelliera Angela Merkel a Freiberg, lazienda Choren ha trovato il modo di trasformare scarti di lavorazione agricola e residui boschivi non in bioetanolo, ma in biodiesel. Materiali che permettono al bilancio energetico di essere assolutamente in attivo (si parla di riduzione delle emissioni di CO2 del 90%) senza creare competizione tra colture energetiche e colture alimentari. Lobiettivo per il primo ano di attività è la produzione di 18 milioni di litri di combustibile.
Traguardi ambiziosi. In Italia ovviamente siamo ancora lontani dal possedere le conoscenze per mettere in piedi unimpresa simile. "Se alla data del 2020 anziché il 10% stabilito dallEuropa riusciremo a produrre il 3% del biocarburante di cui abbiamo bisogno lo considererei già un successo - spiega ancora il professor Venturi - Nel generale ritardo la ricerca è forse quella messa meno peggio".
I segreti delle alghe. AllUniversità politecnica delle Marche si sta cercando ad esempio di capire se una mano a risolvere la crisi ambientale possa arrivare dalle alghe. "Abbiamo monitorato sia le specie di acqua dolce che di mare per capire quali sono le più adatte allestrazioni di oli da trasformare in biodiesel - racconta il professor Mario Giordano, docente di fisiologia vegetale - Il passo successivo è stata lindividuazione dei metodi di coltura in grado di esaltare loleogenesi degli organismi. Ora possediamo un ventaglio di possibili soluzioni, ma mancano i soldi per passare dalla sperimentazione in laboratorio a quella in un vero impianto pilota".
Non bisogna generalizzare. In attesa che arrivino i fondi e che anche da noi si possa iniziare a parlare concretamente della produzione di biocarburanti di seconda generazione, conviene attenersi alla lista dei buoni e dei cattivi stilata dalla ricerca coordinata da Venturi. Ma con un avvertenza essenziale. "Limportante - sottolinea il professore - è non generalizzare, anche perché i costi energetici e ambientali di ogni specie cambiano molto spostando le coltivazioni anche di poche decine di chilometri con il variare della qualità del terreno e del clima: far crescere il granturco a Forlì non è come crescerlo a Piacenza".
Una classifica ancora parziale. "I due sorghi che risultano vincitori - aggiunge Lorenzo Barbanti, un altro dei firmatari della ricerca - per il momento possono essere usati prevalentemente per produrre energia termica e non biocarburanti, allo stesso modo bisogna tenere conto del valore dei residui delle lavorazioni e delle capacità di carbon sink (ovvero di fissare lanidride carbonica) delle coltivazioni, fattori che questo primo lavoro non ha preso in considerazione, ma che per il futuro rappresentano le soluzioni più interessanti grazie a piante pluriennali come la canna comune, il panico, il miscanto e il cardo".